martedì 28 luglio 2015

SULLA RIVA DEL FIUME






Un antico dolore
increspa il fluire
del fiume

Tra i fili d'erba
cercano pace
i pensieri
nei sogni dei fiori

Obbediente il tiglio
ha riammesso le foglie
a scherzare col vento

Manca solo il profumo
dei fiori di sambuco
da quando è passata
l'ultima piena.


- Giovanna Giordani - 

mercoledì 22 luglio 2015

LA VOCE DEL MARE





Anche il mare ha una voce
che grida un antico dolore
allo scoglio
che si oppone al suo andare

È possente la voce del mare
sferzata dal vento
a spronare le onde schiumanti
sulla spiaggia accogliente

Ma la voce del mare
diventa più dolce
più mite
se il vento si tace

E sussurra le storie
più strane ed arcane
di vita di morte
e d’amore
alla sabbia lambita
che giace
in ascolto
arresa e stranita.


- Giovanna Giordani - 

giovedì 16 luglio 2015

Recensione alla silloge PRIGIONIERE DEL SILENZIO di Maria Carmen Lama




  Il titolo mi riporta automaticamente a un bellissimo saggio sul “Silenzio” di Natalia Ginzburg facente parte della sua raccolta “Le piccole virtù”. E quindi la curiosità verso l’opera poetica di Maria Carmen Lama “Prigioniere del silenzio” va  soddisfatta quanto prima!
 Non rimango delusa. Scorrere ad una ad una le sue poesie è come ascoltare la voce sincera di un’amica.
 Lo stile è, infatti, colloquiale e diretto. Non sceglie molte metafore o perifrasi la nostra autrice, ma un linguaggio che vuole giungere al lettore senza equivoci pur mantenendo alta la connotazione poetica. Traspare dai versi un grande desiderio di liberare sentimenti, riflessioni, stati d’animo che fanno parte in maniera preponderante dell’universo femminile.
Perché il silenzio può essere gradito se racchiude in sé la certezza di sentimenti genuini supportati da atteggiamenti coerenti, ma può essere altresì doloroso se “obbligato”  per paura, e incomprensione di chi ci sta accanto  che non sa e non vuole ascoltare.
È di questo silenzio che la poetessa sente l’esigenza di parlare. Il silenzio che deve essere infranto, il silenzio che deve aprire le porte alle parole, affinché possano esprimersi,  essere ascoltate,  essere capite in modo da poter vivere la vita e i rapporti umani nella libertà e nel rispetto. Perché, citando ancora la Ginzburg,  “il silenzio può diventare una malattia mortale”.
Cerco di immaginarmi la genesi di queste poesie di Carmen. Le riflessioni scaturite da confidenze sommesse, timorose o da notizie lette sui giornali o udite in tv; nomi di persone alle quali dedica i suoi versi.  Ma non mancano certo anche le liriche scaturite da particolari stati d’animo del vissuto personale della scrittrice.
Cosa c’è, dunque, di meglio che tradurre in poesia le parole “prigioniere”? Carmen l’ha saputo fare in maniera egregia con questa silloge estremamente interessante.
Le poesie si alternano fra versi di denuncia e di veemente richiesta di dignità a versi che prendono a simbolo gli spettacoli della natura per esprimere le sensazioni dell’anima, a volte triste, a volte orgogliosa, il più delle volte sofferente. Queste poesie vorrebbero aprire i cuori e le menti di quella parte maschile (e qui credo sia giusto precisare che, per fortuna, è solo una parte, anche se abbastanza consistente, credo) ottusa e trincerata dietro usi e costumi ipocriti che non fanno altro che confermare o legittimare un egoismo di fondo.
Ci sono versi, poi, che ti sorprendono per l’originalità espressiva come ad esempio “frammenti di bontà decapitata  in “Lei non sa” oppure “pensiero quasi muore/vivo, debole, tenue velato/impallinato dal silenzio truce” in Quasi muore e, naturalmente tantissimi altri che permeano la silloge.
Percepisco in queste poesie tutto l’amore, la solidarietà,  nei confronti di quelle donne (e sono ancora tante sul pianeta, ma non tutte, per fortuna) che non hanno la possibilità di esprimere al meglio la loro personalità, i loro sentimenti; quelle donne che non sono valorizzate perché ritenute inferiori e quindi relegate al “silenzio”.
La raccolta è corposa, le poesie sono quasi duecento e mentre le scorro ad una ad una capisco che non si possono leggere in fretta, ma bisogna soppesarne adeguatamente le parole che sotto un’apparente semplicità esprimono profondità di sentimento e  analisi introspettiva notevole.
Così le parole della nostra poetessa ci giungeranno come un dono, il dono della sua sensibilità verso coloro che “non possono dire” e ai quali (o meglio alle quali) vuole riservare uno spazio importante nella sua arte poetica.
Leggere Carmen Lama è un arricchimento, è l’accendersi di una luce che illumina, riscalda, affratella.
Per chiudere queste mie riflessioni non scelgo la poesia che dà il titolo alla silloge (la lascio “scoprire” ai lettori!), ma un’altra, a parer mio, altrettanto emblematica e che trascrivo interamente:
Se muore la parola
Se muore la parola/tutto si ferma/sbiadiscono i colori delle rose/attonito sta il cielo/ad avvolgere il mondo/consapevole del suo/essere inutile./A me, tutto d’intorno/cresce il silenzio/come torre d’avorio/mi rinchiude/altro non so e non vedo/altro non sento/che il battito del cuore/sempre più lento/sempre più distratto/consapevole del suo/essere inutile/.Se muore la parola/io piango il lutto/mentre l’abbraccio/per tutto quel che è stata/per l’amore che ha cullato/in te, in me, in noi/ma insieme a lei /  anch’io/  io dentro muoio/. Se la parola muore non esiste più nulla.
Grazie Carmen, continua a parlarci, è bello ascoltarti!


Giovanna Giordani




sabato 11 luglio 2015

ALCUNE MIE RECENSIONI





Impressioni di lettura di “SMEMORIA” di Danila Oppio

Quello che mi ha colpito da subito iniziando questo romanzo è l’originalità della disposizione della narrazione, quell’atmosfera di suspense in cui, lo ammetto, di primo acchito non riuscivo a raccapezzarmi.
Si snoda come un racconto giallo, pensai. Poi mano a mano che mi addentravo nella lettura le nebbie si diradavano come un sipario che si apre lentamente lasciando scorgere la scena tanto attesa.
Rimanevo affascinata dal linguaggio molto scorrevole e le poesie che ornavano il tutto, proprio come le rose del giardino di Sibilla.
Insomma, da semplice lettrice non letterata, mi sento di dire che questo romanzo, che io definirei prosimetro (poesia e prosa e..c’è anche della musica),  si apre verso l’alto come una piramide rovesciata.
E quando le parole riescono a emozionare mano a mano che le vedi scorrere sulla carta, come è successo a me durante questa lettura, beh, io credo che allora, l’obiettivo di qualsiasi scritto è raggiunto.
Dunque, scrittura fatta col cuore, questa di Danila Oppio, che scorre limpida come una cascatella, per portare speranza, ottimismo, in questa nostra avventura terrena; scrittura dove la parola “amore” tiene unita tutta la vicenda come un filo rosso che appare e scompare nel disegno della trama, parola che non dovrà mai essere considerata inflazionata perché, lo sappiamo tutti,  è la sola che può dare un senso al mistero della vita.
E, siccome ho evidenziato parecchie frasi e poesie che più mi avevano colpito, mi preme incollarne qui almeno una, che trovo incontestabile:
…”In sintesi, la caduta del gusto per la poesia, in questo nostro secolo, è principalmente dovuta al precipitare dei sentimenti più nobili, laddove la bella scrittura e il bel dire, è stato sostituito da vituperi, parolacce, volgarità e una mala scrittura, aggiunti a un pessimo linguaggio. “
Allora speriamo che Sibilla/Danila, ora che sta riacquistando la memoria, continui pure a scrivere senza stancarsi mai!

- Giovanna Giordani -

SMEMORIA

http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/91141/smemoria/

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Breve recensione di 

“ALLA LUNA CH'E' MIA”
di Marcello De Santis

“Alla luna ch’è mia” di Marcello De Santis è una silloge poetica che si gusta come una fresca sorsata d’acqua ristoratrice. La prima cosa che colpisce è la sua squisita musicalità. Inizi a leggere e non ti puoi più fermare. Sono componimenti piuttosto brevi e senza titolo, ma uniti l’un l’altro da un sentimento poetico che, si può proprio dire, ti trasporta sulle ali di una musica di parole irresistibile.
La luna, la notte, le stelle, qual è il poeta che può sottrarsi a tale magico incanto?
…“Come due vele, noi
sopra un carro di nuvole
e di rose
voliamo sulla luna”.
Ma c’è dell’altro in queste gradevolissime poesie. C’è la profondità dei sentimenti e la percezione della realtà che il poeta ci descrive conducendoci sapientemente nel suo mondo dove la natura e l’uomo si compenetrano a vicenda sublimando istanti e sensazioni.
.. “Lieve mi sciolgo
nella notte dei grilli
quando canta maggio”…
Oppure
Ecco ritorna forte
il maestrale
e strappa dalla scena
il velario di fondo
sipario alla rovescia
di inutili commedie..”
Da ogni poesia traspare più o meno chiaramente una sottile malinconia consapevole del mistero che avvolge l’umano destino. I versi sono, oltre che musicali come già detto,  densi, intensi, palpitanti.
Alla luna ch’è mia” è la poesia che titola la raccolta e si può dire che ne è proprio la degna regina nella sua ricca  maestria compositiva. Ne trascrivo i versi conclusivi, quelli che più mi hanno colpito:
…“Io prego
dal rosone centrale
già macchiata di sangue
una lama di luna mi trafigge
e scoppia la navata
della chiesa”.
Versi liberi, ma armonici e curati, nei quali cuore e mente convivono in giusto equilibrio.
Nella parte finale l’autore si diletta a trasformare in poesie tre note fiabe per bambini (dedicate) ed è veramente una lettura gradevolissima anche per noi adulti.
Insomma una silloge che posso solo consigliare di tenere a portata di mano, magari sul comodino, per lasciarla scivolare dolcemente nell’anima come una musica incantatrice. E, per darne un saggio, concludo con questa:
”Imbianca d’argento la luna
il mare di perla di perla
e sfoggia collane di stelle
il cielo sul mare di perla
e cullano vele assopite
le onde leggere leggere
e cullano vele assopite
E’ notte gabbiani assonnati
attendono l’alba in amore
solfeggia nel calmo silenzio
la stella marina marina
l’amara lampara sonnecchia
sciaborda tagliando le alghe
sonnecchia e sciaborda sciaborda
e cullano vele assopite
le onde leggere leggere
e cullano vele assopite”
Grazie Marcello per averci donato queste splendide note.

                                                      Giovanna Giordani



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Brevi riflessioni su “L’ODORE DEL PANE”
di Sandro Orlandi

Devo dire che quello che mi ha colpito fin dall’inizio del romanzo “L’odore del pane” di Sandro Orlandi è l’abilità con cui questo scrittore racconta due storie parallele che gradatamente si intersecano fino a fondersi in un unico finale coinvolgendo il lettore in modo decisamente avvincente.
Storia, fantasia, psicologia, magia sono tutti elementi che l’autore sa far convivere con grande maestria ed equilibrio.

Addentrarsi nella lettura di questo libro è proprio come quando ci si avventura per un sentiero di montagna in mezzo ai boschi dove, assieme al respiro dell’aria salubre, ci sentiamo avvolgere da una vaga sensazione di straniamento.

Ed infatti la suspense non si lascia attendere. Capiamo subito, dalla delineazione dei personaggi, dai loro discorsi e dalle loro sensazioni, di essere in presenza di una situazione arcana, nella quale gli accadimenti si intersecano gradatamente come i pezzi di un puzzle, o come un rebus che attende una soluzione, per far emergere una verità.

C’è una richiesta di aiuto che attraversa i secoli e solo da chi possiede il “dono” può essere udita.
Il “dono” in questo caso sembra avere due significati: il primo è quello di percepire voci che i comuni mortali non possono udire, il secondo è qualcosa di più tangibile e cioè un ciondolo che ha attraversato due secoli di vita passando di mano in mano fino ai giorni nostri...

Due paesi diroccati e i resti di un convento abbandonato sono l’iniziale teatro in cui la fantasia dell’autore vola alla ricerca di una trama tesa a rappresentare la vita che in essi si svolgeva nei due secoli precedenti, supportata da una accurata documentazione storica. Tutto questo animato da personaggi decisamente affascinanti ognuno per le proprie peculiarità.

A questo punto credo sia giusto lasciare al lettore il gusto di seguire passo dopo passo questa intrigante narrazione nella quale mi pare di aver percepito, accanto ai contorni del noir, un misto di affetto e  pietà che l’autore prova per le sue “creature” e quindi, di riflesso, per tutta l’umanità con le sue fragilità che molto spesso ne condizionano il destino.
Per questo io non posso che consigliare la lettura di questo originale romanzo in cui la ricerca della verità e della giustizia sono il filo rosso (e qui mi sovviene l’immagine di copertina ad opera di Maristella Angeli) che lo attraversa senza mai spezzarsi.
  

Giovanna Giordani




Riflessioni sulla silloge “NEL SILENZIO DEI RUMORI” di Gavino Puggioni

La poesia emblematica della silloge di Gavino Puggioni “Nel silenzio dei rumori” è titolata, appunto, “Il silenzio”. E’ una poesia breve, ma molto incisiva che, in chi non è duro di cuore, non può non suscitare un sentimento di condivisione e di apprezzamento per l’urlo immane e l’esortazione che contiene nei suoi versi.
Ne trascrivo qualcuno che vorrei potesse viaggiare per l’etere per essere udito da tutti coloro che hanno a cuore il bene dell’umanità: “
Nel silenzio/ dei rumori/un viso di bambino/abbandonato/mai amato/..ci saluta…/la voce fioca/e la bava bianca/di fame e di sete/..ci parlano…/ma noi siamo sordi!”

In questa poesia, quindi, io ravviso la poetica generale dell’autore che è sensibilità verso la parte debole dell’umanità, è solidarietà che utilizza il linguaggio della poesia per esortare a non seguire la via dell’indifferenza, ma a cercare di rivolgere l’attenzione a quella parte di infanzia del mondo che viene vilipesa e tradita. (Non a caso l’autore destina i proventi delle vendite di questo libro all’UNICEF).
Sublime messaggio quello del poeta Gavino che non posso non condividere ed apprezzare.

Così anche nelle altre poesie traspare la sua ribellione a ciò che distrugge anziché creare, a ciò che divide anziché unire, a tutto ciò, dunque, che va a danno dell’uomo stesso. Nelle sue poesie si legge proprio questa tristezza che urla tutto il suo malessere per la stupidità e l’inettitudine di chi fa dell’egoismo la propria religione, di chi ha paura, io credo, di essere troppo “buono” . Perché, troppo spesso, la bontà viene identificata come debolezza, fragilità. Invece io credo che la bontà sia una grande forza grazie alla quale l’umanità può sopravvivere ai suoi aspetti peggiori.

Dico sinceramente che fa sempre bene al cuore leggere poesie come quelle di Gavino Puggioni e, per fortuna, non è il solo che vuol fare sentire la propria voce al fine di smuovere le coscienze per ottenere un mondo migliore in cui i piccoli, i bambini, possano crescere nel benessere, possano essere amati come meritano, non siano abbandonati e possano quindi mantenere viva la speranza e la gioia di vivere. Il diritto di vivere è universale, rendere la vita vivibile è prerogativa umana e di nessun altro. La vita è in mano nostra, Qualcuno ce l’ha donata e tocca solo a noi apprezzarla, condividerla, rispettarla e renderla degna di essere vissuta. Bando alle guerre, quindi, agli orrori, alle brutture. Gavino ce lo “grida” in ogni sua poesia ed è un grido che non dovrebbe cadere nel vuoto, ma, come dicevo all’inizio, essere raccolto da tutti gli uomini di buona volontà.

Questa dunque è la tematica prevalente della silloge. La forma è quella del verso libero moderno, senza particolari metafore, che giunge immediata alla mente e al cuore. Hanno trovato spazio nel libro anche delle brevi prose che ci permettono di apprezzare Puggioni pure in veste di narratore.
Degne di nota sono inoltre le bellissime illustrazioni, dell’artista Antonio Lino Pinna, che accompagnano la raccolta poetica del nostro autore donando così maggior risalto alla stessa.

Grazie Gavino, continua ad urlare il tuo importante messaggio e che il vento lo porti con sè e lo lasci cadere come un piccolo seme in terreno fertile. Perché, si sa, che dai piccoli semi possono nascere grandi e salubri piante!

Giovanna Giordani


Magnum-Edizioni
Copertina e disegni di Antonio Lino Pinna
Anno 2007, Pag. 200

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BREVE RECENSIONE ALLA SILLOGE DI TINTI BALDINI
“SEGNI”
 “Segni” di Tinti Baldini è un libro di poesie che ho letto centellinandolo come faccio generalmente con i libri di poesie. 
Un libro di poesie è per me come una riserva d’ossigeno alla quale attingo quando ho bisogno di dar maggior respiro all’anima. Generalmente non inizio mai dalla poesia della prima pagina, ma ne scelgo sempre una a caso. E così sono subito stata catturata da “I versi” che mi hanno conquistata in un baleno
 “odorano di figlio/dentro il corpo/… di  terra che suona/sotto i passi, di voli e cadute./….e piovono sul capo/ come petali”. Come non sentirsi in sintonia?!
Continuo a sfogliare e intravedo componimenti brevi sui quali mi soffermo incuriosita poiché so quanto si può dire in poche parole. Ed è in “Casa” che m’imbatto per prima e che posso trascrivere totalmente“Di senso amato/di furori e silenzi/di sbarre di burro”.  Scorro queste brevi poesie  ad una ad una ed è come osservare un quadro impressionista, tante folgorazioni emotive impresse subito sul foglio perché rimangano nella loro spontaneità e genuinità e non si dissolvano senza lasciare segno.
La libertà del verso, l’intensità e l’intrinseca tensione alla ricerca del senso dell’esistere sono alla base della poesia di Tinti. Dunque, poesia pregna, incisiva, senza sbavature, essenziale che guarda all’interno del sé per poi espandersi oltre i confini dell’io verso la vita dell’intera umanità con i suoi muti perché, il suo dolore, le ingiustizie e gli orrori come in “Auschwitz” ….”E trecce bionde a migliaia/in mucchio/e sguardi di spettro/in angoli remoti… /poi... dinnanzi all’entrata/prendi il panino/nella borsa/schiacciato/pestato e senza forma/e lo butti dentro il bidone.”
L’autrice lascia scorrere il suo sguardo, a volte stupito, a volte estasiato, sempre partecipe, gioioso o addolorato perché l’indifferenza non fa parte del suo essere e la definisce così: “Indifferenza” Veder passare/ombre/e non scoprirle. Avendo inoltre insegnato per tanti anni, leggendo questa poesia, si capisce tutto l’affetto e la comprensione che prova per i suoi “Alunni”: “Se ti va di sentire/se passa piacere/se ascolti il vento/se vuoi capire/è perché hai avuto amore”. Mentre in “Donna bambina” Tinti esprime tutta la sua amarezza per l’infanzia e l’adolescenza abbandonate a se stesse  ”…Allora/ho cominciato a svuotare/il mio corpo/e poi/per sentirmi bella/a darlo in prestito.”
Anche la natura non si sottrae dal suo ruolo di musa ispiratrice e si lascia cantare anche dalla nostra poetessa con questa bella “Luna” /Muta assapora/di nuvole il passaggio/e di stelle/la lontananza/in silenzioso tocco/d’infinito. Più che mai nel poetare di Tinti traspare l’essenza della sua anima, la sua sincerità nell’esprimersi, senza reticenze, senza veli e per questo la sentiamo, oltre che poeta, amica discreta, partecipe, attenta, sensibile, leale.
Mi congedo da queste mie impressioni su questa silloge con questa ultima perla lasciando a voi la meraviglia di scoprire l’intera collana:
LASCIA
Lasciami/vivere/soffi leggeri/di felicità/senza sguardo/giudice o mesto:/
carezza la mia gioia/e/diventerà qualcosa/di grandioso.
Grazie Tinti
Giovanna Giordani



venerdì 3 luglio 2015

IL FIORE MORENTE





Nessuno si curava della sete
di un fiore morente
in vendita al supermercato

Non era nella mia lista della spesa
potevo  far l’indifferente
ma l’ho comprato

Nel mio vaso
dissetato e concimato
è diventato meraviglioso
ed ogni volta
che lo guardo compiaciuta
vedo la sua felicità e sento
le sue parole

di ringraziamento

- Giovanna Giordani

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