Anche quel giorno estivo stava giungendo al termine.
La brezza pomeridiana si stava trasformando gradatamente in un
vento sempre più insistente che si divertiva a giocare con tutto ciò che gli
capitava a tiro.
Il pino marittimo, alquanto inclinato, come la schiena di un
vecchio acciaccato, era l’unico a dare il benvenuto a quel ventaccio che non
preannunciava niente di buono.
Egli accoglieva il vento sempre con favore perché, il suo
arrivo, ravvivava in lui una segreta speranza, un suo grande antico sogno, fin da quando era nato, lì sul viale in riva
al mare.
Ormai conosceva a memoria tutti i discorsi dei passanti e la
solita domanda che i bambini rivolgevano ai genitori: - come mai quel pino ha
il tronco così inclinato, così storto? –
- E’ a causa del vento – rispondevano gli adulti.
E il pino li guardava mentre correvano verso la spiaggia,
seguiva l’andirivieni delle persone e spesso era contento di poter essere utile
a qualcuno che cercava momentaneo ristoro accanto alla sua ombra.
Quella sera sembrava che il vento facesse proprio sul serio.
Aveva rovesciato gli ombrelloni e tutti erano impegnati nel mettersi al sicuro.
Nubi minacciose avanzavano scure e gonfie di pioggia dalla linea plumbea del
mare le cui onde erano sempre più alte e fragorose.
Il pino, anche questa volta, si lasciò sbeffeggiare piegandosi
sempre di più verso il basso. Tutti
correvano, come al solito, correvano e lui…avrebbe voluto anche lui… Un
bagliore attraversò il cielo seguito dall’enorme fragore di un tuono e grossi
goccioloni cominciarono a cadere con sempre maggiore insistenza e intensità. Il
vento sembrava sfogare una arcana rabbia repressa e si abbatteva impietoso su
ogni cosa. Il pino marittimo si contorceva, piegandosi sempre di più e, quasi
inginocchiato, sfiorando l’asfalto, cominciò a pregare così’:
- vieni ventaccio, vieni, forza, forza, insisti, più forte, dai,
sradica, sradica queste radici, ti prego … aiutami … -
Il vento sembrava aver capito e cominciò a ululare come non
aveva fatto mai, avventandosi con tutta la sua energia su quel pino marittimo
la cui maestosa e folta chioma era ormai tutta scomposta e spettinata. Le raffiche erano una più forte dell’altra
finché ebbero la meglio sulle radici che, non riuscendo più a resistere,
cominciarono ad allentare la loro presa nella terra.
L’albero ebbe la certezza
che qualcosa di importante stava accadendo in lui. Era una strana
sensazione di leggerezza … Si sentì all’improvviso librare nell’aria.
- Ecco fatto – brontolò il vento. – Ora sei libero –
- Portami lontano – lo supplicò il pino marittimo. Allora il
vento radunò tutte le forze rimastigli e lo sollevò spingendolo in alto, lungo
la spiaggia. Il pino vide le sue radici danzare nell’aria e si sentì pervadere
da una felicità mai provata – E’ meraviglioso – si disse – sono libero, sto
volando, grazie, vento -.
Questi si stava chetando
e rispose: - ora devo lasciarti, per oggi la mia parte è finita, non posso far
altro che augurarti buona fortuna –.
Il pino cadde con un
tonfo sulla sabbia e guardò le sue radici rivolte verso il cielo.
Il mattino seguente accorsero in tanti a vedere il grande pino divelto.
– Ma quante gambe ha! –
disse un bimbo alla mamma.
- Si, ma purtroppo non può camminare – lei rispose.
All’udire queste parole il pino tornò a rivolgere lo sguardo
alle sue radici. Esse si tendevano verso l’alto, inondate dal sole.
- Non angustiatevi mie radici – sussurrò il pino – non potrete
camminare, ma voi sole sapete la gioia immensa che provaste nel volare, libere,
sopra il mare e la felicità che provate nell’assaporare il calore dei baci del
sole - .
Poi,
socchiuse i suoi grandi occhi verdi e i passanti non poterono mai vedere il suo
sorriso mentre la brezza mattutina lo accarezzava indugiando a sussurrare
incomprensibili parole fra la sua folta chioma adagiata sulla sabbia del mare.
- Giovanna
Giordani –
Questo mio
racconto, letto in rete, ha ispirato il seguente cortometraggio dal titolo
10.411. L’autore l’ha leggermente
modificato per esigenze di ambientazione. Dice che 10.411 è il numero dei
minori scomparsi in Italia dal 1973.
Inoltre il
racconto è inserito nell’antologia curata da Gaia Cenciarelli dal titolo “Auroralia”.
Bello il racconto e bello il cortometraggio. Ora, che ho appena letto e visto, fatico nel ritornare al mio pc. Non riesco a scrivere nulla che non sia banale; la storia dell'albero è perfetta, la vicenda della bambina fa tanto male, pensando alla solitudine dei tanti bambini che finiscono in mani che non rispettano quello che è un diritto, l'essere liberi.
RispondiEliminaGrazie, Gio.
Piera
Prima di tutto tu non scrivi mai niente di banale, anzi!!!!!
EliminaNon finirò mai di ringraziarti per le tue visite al mio blogghetto! Abbraccio
Gio
Sai Giovanna che questo tuo racconto me lo ricordavo? Ciò vuol dire che mi era molto piaciuto e mi piace ancora. E' come un volo oltre la vita, come una sia pur breve rinascita. Una liberazione dalle catene. Ciao
RispondiEliminaUn grande grazie anche a te Franca :):):)
EliminaGio