venerdì 22 novembre 2019

L'ALBERO CHE CANTAVA





C’era una volta un albero un po’ particolare, e vi dirò subito perché: sapeva cantare! All’arrivo della primavera, dunque, al primo tepore del sole, le sue tenere foglioline cominciavano ad aprirsi e intonavano un coro che si espandeva per tutto il giardino.
Dapprima iniziavano fievolmente, poi, mano a mano che crescevano e diventavano delle robuste foglie verdi, anche le loro voci si facevano sempre più sonore e armoniose rallegrando così le giornate di quel luogo ameno.
Vicino a quest’albero canterino c’era una di quelle piante grasse con quei tremendi aculei che sembravano sempre pronti a colpire chi si avvicinava troppo. Ebbene questa pianta era l’unica nel giardino che non apprezzava per niente le canzoni di questo albero e pertanto continuava a brontolare come una pentola di fagioli.  – Verrà anche l’autunno – borbottava tra sé – così questa musica smetterà -. E intanto diventava sempre più gonfia di stizza e i suoi spini sembravano pronti a schizzar via per pungere qualche malcapitato.
Verso settembre arrivò nel giardino il primo venticello portando un po’ di tremore dappertutto.
La voce delle foglie dell’albero canterino cominciò a indebolirsi. E il sole,  impietosito, cercò di donare loro tutto il calore di cui era capace in quel periodo dell’anno, facendole diventare splendenti come l’oro. E così poterono continuare a gorgheggiare contente.
In ottobre passò da quelle parti un signore molto distinto assieme ad un suo amico che indossava dei vestiti un po’ larghi, aveva i capelli lunghi e amava dipingere quadri.
Giunti davanti all’albero che sapeva cantare, si fermarono estasiati dallo splendore delle foglie che il sole non smetteva di accarezzare.
- Che meraviglia! – disse il signore elegante. – Davvero splendido! – replicò il pittore.
A quei complimenti le foglie arrossirono di piacere  e alcune svennero per l’emozione, cadendo  a terra.
- Domani potresti venir qui con il tuo cavalletto e con i tuoi pennelli – disse il signore elegante al pittore.
- Verrò volentieri  – rispose questi.
- Ecco care - disse la pianta grassa – domani ci faranno il ritratto. Potreste almeno per un giorno smettere di cantare? -
- Smettere di cantare? Perché? – risposero le foglie  - noi domani faremo del nostro meglio per regalare a quei signori gentili le nostre più belle melodie -. La pianta grassa bofonchiò rassegnata; tanto con quelle era proprio inutile discutere.
L'indomani arrivò il pittore con il suo cavalletto sul quale sistemò una tela bianca di media grandezza; si sedette su una panchina di fronte all’albero che cantava e, presi  pennelli e tavolozza, iniziò a dipingere. Era una giornata meravigliosa. Dallo sfondo del cielo turchese e alla luce del sole tutti gli alberi splendevano dei colori più belli e l’albero canterino spiccava fra tutti per la sua luminosità. Lo spettacolo era davvero mozzafiato; le foglie arrossivano sempre di più nel sentirsi così al centro dell’attenzione, e cantavano sommessamente.
Disse la pianta grassa: - meno male che oggi almeno cantate più piano e non mi rompete i timpani con i vostri strilli (!) –
Alla fine della giornata il pittore regalò il quadro al suo amico che ne fu molto contento,  mentre la notte abbassò le palpebre a tutti gli abitanti del giardino, che si addormentarono pacifici.
L’autunno e l’inverno avanzavano a grandi passi e il vento che li accompagnava faceva cadere le foglie di quasi tutti gli alberi. Solo la pianta grassa rimaneva imperterrita, assieme alle piante sempreverdi che sonnecchiavano silenziose.
Anche le foglie canterine caddero una ad una e,  mentre si adagiavano sul terreno intorno al tronco dell’albero, continuavano a cantare piano piano,  finché si addormentarono tranquille;  sapevano infatti che l’albero conosceva a memoria le loro canzoni e le teneva ben custodite per la primavera successiva.
La pianta grassa, che ormai non poteva più sentirle,  disse: - meno male che almeno adesso  posso dormire in pace – e, distolto lo sguardo dai rami spogli dell’albero, cominciò a russare come un trombone stonato.
In una bella casa, non molto lontano dal giardino, quel signore elegante di cui abbiamo parlato poco fa, una sera invitò a cena amiche ed amici con le rispettive famiglie.  E in quell’occasione mostrò loro il dipinto fatto dal suo amico all’albero dai colori splendenti.
Tutti guardarono il ritratto con ammirazione. Fra i presenti c’era anche una ragazzina che amava molto dipingere e alla vista del quadro proruppe in una esclamazione di meraviglia : - Ma è bellissimo! Quell’albero ha i colori dell’oro e sembra quasi che sprigioni una musica! -.  Non si era resa conto, come noi sappiamo, di aver detto proprio la verità. E fu così che il nostro albero poté continuare a cantare felice nel quadro,  in ogni stagione,  ma solo le persone speciali riuscivano a sentirlo.


Giovanna Giordani







venerdì 15 novembre 2019

NO SON FINÌ (Antonia Dalpiaz)

Propongo volentieri questa poesia in dialetto trentino:

Lassème star
da sol
su sta bancheta
e né lizeri
per le vosse strade.
No gaverò paura
del silenzi
perché i ricordi
i parla
i brusa
i tase.
Lassème ciacolar
col vènt e i fiori
e rider come en pòpo
che strangossa
de 'mpresonar colori
'nte le man.
No son finì.
Gò ancora en s'ciap
de sogni da zugar
e vinzerò,
sul temp e sui dolori.

. Antonia Dalpiaz -
(scrittrice e poetessa trentina)

-.-.-.-
traduzione:

Lasciatemi stare
da solo
su questa panchina
e andate leggeri
per le vostre strade.
Non avrò paura
del silenzio
perché i ricordi
parlano
bruciano
tacciono.
Lasciatemi chiacchierare
col vento e i fiori
e ridere come un bambino
che brama
imprigionare colori
nelle mani.
Non sono finito.
Ho ancora un gruzzolo
di sogni da giocare
e vincerò,
sul tempo e sui dolori.




The Lonely Shepherd - André Rieu & Gheorghe Zamfir

martedì 12 novembre 2019

CONCORSI


Segnalo volentieri tre concorsi che mi sono stati portati a conoscenza:



http://largolibro.blogspot.com/2019/11/le-pagine-del-natale-ecco-la-nuova.html

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biblioteca@comune.gatteo.fc.it   
 -Secondo Concorso letterario di poesia "Premio Narda Fattori"


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https://www.facebook.com/events/370770063597992/



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LA CASTAGNA CICCIOTTELLA


Questa è una filastrocca scritta qualche anno fa, a quattro mani, con la mia amica Anna G. Mormina. Con soddisfazione di entrambe, ci siamo accorte che ha avuto in rete un certo successo:





La castagna cicciottella
si lamenta che sta stretta
dentro al riccio poverella
e di uscire ha una gran fretta

Quando è autunno inoltrato
con compagne e le sorelle
fa un bel salto giù nel prato
divertendosi a crepapelle

Fra le foglie si nasconde
e le altre stanno all'erta
cade il riccio dalle fronde
ride e resta a... bocca aperta

Ma per poco durò il giochino
le raccolsero in un cestino
e la castagna cicciottella
si trovò in una padella.

- Giovanna Giordani - Anna G. Mormina -

venerdì 8 novembre 2019

LILIANA SEGRE - (Piera Maria Chessa)


Non potendo commentare sul blog di Piera Maria Chessa riporto qui da me queste sue bellissime riflessioni che condivido pienamente.
Dopo quanto accaduto nei confronti di Liliana Segre in questi giorni, non so come alcuni nostri cittadini possano dirsi orgogliosi di essere italiani. 
Mi unisco alle persone che si adoperano per dimostrare, a questa encomiabile Signora , solidarietà, ammirazione e gratitudine per quanto fa e ha fatto al fine di evitare il ripetersi dei noti indicibili orrori accaduti nel secolo scorso anche nella nostra Italia...


Liliana Segre: alcune riflessioni



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foto da web
Sono giorni indimenticabili questi che stiamo vivendo, giorni che non avremmo voluto vivere, almeno una parte di noi, perché lasciano addosso un’amarezza che avvolge come se fosse una colla resistente, e della quale è difficile liberarsi.
Non è una novità per nessuno quella che è stata la vita di Liliana Segre, un’esistenza durissima fin da quando era bambina, sopravvissuta poi all’inferno di Auschwitz. Non voglio certamente tracciare una sua biografia, solo soffermarmi su alcuni particolari della sua vita.
Per esempio, si parla sì, ma poi non così tanto, di quel ricordo indistruttibile, non solo a livello mentale ma anche fisico, che è un numero, costituito da più cifre, che Liliana Segre porta con sè, su un braccio, da quando non aveva ancora quattordici anni, questo numero è 75190.
Se solo provassimo a immaginare di vivere noi stessi quella sua esperienza, rinchiusa a tredici anni, un anno e mezzo di campo di concentramento, l’aver visto il padre morire dopo pochi mesi… Una ragazzina di quattordici anni e mezzo che ritrova la sua libertà, che prova a condurre una vita “normale”, cresce, forma una famiglia, tutto ciò che di solito fa parte della vita di ognuno di noi.
I ricordi però non si possono cancellare, e neppure gli incubi, e quel numero portato fino ad oggi per decine di anni penso che abbia impedito a Liliana Segre di sentirsi, come tutti noi, una persona “normale”, perché la sua vita non può che essere considerata straordinaria, non normale.
Per anni lei non ha parlato della sua esperienza, neppure i suoi per diverso tempo ne sono venuti a conoscenza nella sua interezza, poi ha deciso che era giusto parlarne, raccontare la sofferenza patita nel campo, la crudeltà di cui i suoi occhi sono stati testimoni; erano, non dimentichiamolo, occhi da bambina, eppure è riuscita ad andare oltre.
E noi, una parte di noi, che facciamo? Da dove nasce oggi quest’odio verso una donna avanti negli anni, pacata nei comportamenti e nel linguaggio, che cosa può disturbare in lei? Lei che non conosce l’odio, eppure ne avrebbe motivo, che si meraviglia nel vedere che non tutti, al momento del voto, abbiano votato concordi contro ogni forma di razzismo e discriminazione, che non si spiega il perché dei tanti insulti che quotidianamente le arrivano.
Ora avrà una scorta, perdendo un pezzo considerevole della sua libertà. Perché sì, si sentirà più sicura, ma la libertà, la vera libertà, non ha prezzo.
Io trovo che sia profondamente ingiusto ciò che sta succedendo in questi giorni, ingiusto e vergognoso. Diverse persone vorrebbero chiedere scusa a quest’anziana signora che ha veramente dato tanto, andando nelle scuole, incontrandosi con i giovani, costringendo se stessa a ricordare ogni volta quello che ognuno di noi vorrebbe solo dimenticare. Lei lo fa perché sente che è giusto farlo, la morale, quella autentica che dovrebbe guidarci nella nostra vita tutti i giorni, quella legge morale lei l’ascolta. Eppure in molti non le riconoscono neppure questo, ritenendo che ci sia ben altro dietro le sue scelte.
Oggi, in questo nostro Paese allo sbando, sembra veramente difficile capire che certe strade si  possa decidere di percorrerle senza nessun secondo fine.
P.M.C.

domenica 3 novembre 2019

RICORDANDO ALDA MERINI (Piera Maria Chessa)






Oggi mi piace pubblicare questa bellissima dedica

Ricordando Alda Merini

Mettendo in ordine diversi testi scritti qualche tempo fa, ne ho trovato alcuni che non ricordavo proprio, tra questi uno dedicato ad Alda Merini, scritto subito dopo la sua morte.
Desidero riproporlo oggi, così, semplicemente, per ricordarla, per ricordare con affetto una grande poetessa, ma anche una donna che da una sofferenza profonda ha saputo e voluto trarre ispirazione per i suoi versi così veri, autentici come lei, che nella sua vita lo è sempre stata.
Alda
Ti immagino qui, accanto a me,
la sigaretta tra le labbra,
lo sguardo diretto di chi non ha timore
perché conosce bene i morsi del dolore.
Mi guardi, non sai che ti conosco,
che ho letto molte volte i tuoi pensieri
e a lungo ho riflettuto sulla vita
di chi del pozzo ha conosciuto il fondo.
Ti vedo camminare lentamente
tra i tanti fogli bianchi che hai riempito,
tra mozziconi brevi a terra andati,
gettati lì dalla tua noncuranza.
Tu non ami parlare del passato,
di tutto ciò che a lungo ti ha ferito.
In fondo a cosa serve raccontarlo
a chi non conosce affatto quel dolore
profondo e insopportabile del cuore
e della mente, e cerca di capire?
Io ti saluto, Alda, e ti rimpiango,
difficile scordare il tuo sorriso
a volte dolce a volte un po’ beffardo,
le tue movenze morbide e un po’ lente,
il tuo indagare lucidamente il mondo.
P.M.C.

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