≪Credevano, gli uomini, che la cosa più sacra e più importante non fosse quella mattinata di primavera, non fosse quella bellezza del mondo, concessa per il bene di tutte le creature, giacché era una bellezza che disponeva alla pace, all’accordo, all’amore: ma fosse, la cosa più sacra e più importante, ciò che essi stessi avevano escogitato per poter dominare gli uni sugli altri.≫(Leone Tolstoj)
La scatola di latta della mamma era rimasta tale e quale come
lei l’aveva lasciata prima di andarsene fra gli angeli.
Agnese l’aveva riposta sullo scaffale in soffitta pensando
che un giorno o l’altro l’avrebbe aperta, ma con calma, non era una cosa da
fare in fretta. Erano urgenti le incombenze della vita che andava avanti.
Dopo tanti anni e
vicende, fu in uno di quei pomeriggi uggiosi di fine novembre che Agnese si
decise a salire in soffitta per riordinare.
Eccola là, fra un sacco di cianfrusaglie, la scatola tanto familiare, sembrava chiedere
di essere aperta al più presto. E Agnese decise che era arrivato il momento. Si
strinse nel pesante maglione e, presa la scatola, la poggiò su un vecchio
tavolino scrostato.
Un odore di stantio le impregnò le narici appena riuscì a sollevare
il coperchio. L’umidità aveva lasciato il segno. Cominciò lentamente a prendere
in mano il “tesoro” della mamma. Tutta una serie di rocchetti di filo colorato
e da rammendo, qualche ditale (quelli recuperati dai tubetti della conserva),
un logoro puntaspilli, un dado nero con i numeri bianchi, l’uovo di legno, un
paio di forbici, un rosario, un bigliettino per condoglianze scritto con la inconfondibile calligrafia della mamma “partecipo al vostro dolore”, rimasto lì
perché sostituito probabilmente a causa di quell’antiestetico baffo
d’inchiostro uscito dalla stilo, e poi
ancora un santino di San Leopoldo confessore, i biglietti degli annunci di
matrimonio dei figli, il quaderno con incollate le ricette ritagliate dalla
rubrica di zia Betta di Famiglia Cristiana, qualche moneta da 50 e 100 Lire.
Ma ecco che, nel frugare fra quegli oggetti testimoni di
vita, Agnese si trovò fra le mani un rotolino di plastica legato da un nastrino
riciclato chissà dove. Dopo averlo liberato dal nastrino, lentamente lo distese
e si accorse che aveva le sembianze di un tappetino ornamentale. Non tutti i
fiorami di plastica erano rimasti incorrotti e il tutto era piuttosto
ingiallito. Il ricordo esplose subitaneo. Certo, era il regalo di Natale, di un
lontanissimo Natale, che lei e il fratellino avevano comprato per la mamma. Avevano
convinto il papà a dare loro una piccola somma ed erano corsi al negozio più
vicino del paese, che poi era quello del fruttivendolo (dove però a volte erano esposti prodotti non strettamente agricoli...) carichi di speranza di
trovare in fretta qualcosa poiché il tempo stringeva. Era la vigilia. Il
tappetino era lì, sul ripiano fra le cassette di frutta, bello disteso, tutto
bianco con bei ricami plastificati, e il
prezzo era adeguato alle loro possibilità.
Alla mamma doveva piacere. Infatti lei ringraziò con la sua
consueta dolcezza e lo mise in bella mostra sulla credenza in cucina. Un
ornamento così avrebbe impreziosito la festa a beneficio di tutta la famiglia,
la piccola Agnese ne era convinta.
Poi ci fu il presepe, l’albero con le candeline vere, le canzoni indimenticabili.
E l’attesa di Gesù
Bambino, con i suoi doni. Doni che spesso coincidevano con quelli che
desiderava la mamma, ad esempio quando lei diceva che sarebbe stata contenta se
avesse portato una piccola lavagna, dei gessetti o magari un libro. Caspita!
Lui come l’ascoltava! Lo stupore nel trovare proprio quei doni sotto l’albero
era indescrivibile.
Agnese richiuse la scatola stringendosela al petto e,
cercando di tenere a bada il magone, si sorprese a sorridere mormorando fra sé:
- per fortuna i doni che desideravi tu, piacevano anche a
noi, tesoro mio -!
- - Giovanna
Giordani -
(Racconto inserito nell'antologia "IL NATALE DI UNA VOLTA" Edizioni del Loggione)
Mentre Caino continua ad uccidere, Abele rinasce nei miti e i puri di cuore, i
soli degni di ereditare la terra
È
Natale ogni volta
che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano. È Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l’altro. È Natale ogni volta
che non accetti quei principi
che relegano gli oppressi
ai margini della società. È Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale. È Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza. È Natale ogni volta
che permetti al Signore
di rinascere per donarlo agli altri.
Non invidiate i poeti palombari degli abissi astronauti dei cieli quando i loro occhi vi trapassano e sembrano altrove; quando vagano lievi a mezz’aria sulle faccende faticose del mondo Non sapete delle pietre pesanti che si trascinano dentro degli inferni da cui spremono musica del loro diavolo in testa del cuore che pulsa impazzito fuori tempo
Non deridete i poeti se li vedete arrancare su speranze improbabili progetti impossibili mancare insicuri risposte sensate non sapere mai che ore sono faticare a atterrare; se li vedete sbandare e come funamboli mantenersi col piede nel vuoto Non sapete che spesso precipitano non visti si abbracciano in posizione fetale a scontare da soli anche il vostro dolore
Amate i poeti questi Vecchi Bambini che setacciano intenti gli umori del mondo che nella carne e nel sangue esaltati si rovesciano audaci a ricomporre i frantumi delle vostre speranze che da chimici esperti maneggiano parole urticanti trasformando l’oscuro in brillante
e vi visitano quando dormite e vi baciano in fronte se siete soli