giovedì 27 febbraio 2020

IL MANTO SOFFICE DEL CIELO





In questo tempo sospeso
tra una stagione e l’altra
coperto è il cielo
da un  manto soffice di nuvole
grigio- fumo-perla
avvolgente la mente
incantata all’ascolto
di vaghe voci
extraterrestri


- Giovanna Giordani -

mercoledì 19 febbraio 2020

LILLAZ (Alessandro Melis)


Mi piace avere qui nel blog questa bellissima poesia


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Guardaci:
passo dopo passo camminiamo,
e siamo poche lettere
su un rigo
di questo indefinito
foglio bianco.
Spunta qui e lì una virgola,
o qualche segno di punteggiatura:
un rametto, uno stecco,
qualche foglia.
Camminare sulla neve
è come scrivere:
divenire parola
nel silenzio.

- Alessandro Melis - 

giovedì 13 febbraio 2020

LA LEGGENDA DELL'ALBERO DI REGINELLA






Si racconta che, in una piccola casetta di un paese adagiato alle falde di una possente montagna,  erano vissuti tanto, tanto tempo fa, un vecchio vedovo con la sua giovane figlia di nome Reginella.
Costei accudiva con cura il vecchio padre e spesso gli chiedeva di raccontargli com’era la sua mamma della quale proprio non poteva ricordare nulla in quanto, quando il cielo se l’era presa, lei era troppo piccola.
Pur sentendo sanguinare una ferita che non si era mai chiusa, il vecchio, per amore della figlia, cercava di accontentarla e le raccontava della bellezza e gaiezza della madre e di come era buona e gentile con tutti.
Reginella ascoltava estasiata e cercava di immaginarsi i lineamenti ed il dolce sorriso della madre.
Gli anni passavano implacabili. Reginella si era fatta una bella ragazza ed il padre era sempre più debole e stanco.
Un giorno passò da quelle parti un giovane signore e, mentre percorreva la strada principale del paese in cerca di un ostello, incontrò Reginella che usciva dal negozio del droghiere.
Colpito dalla sua bellezza la seguì e le chiese dove poteva trovare alloggio per quella notte.
Reginella guardò quel signore dall’aspetto gentile e, poiché in quel piccolo paese non c’erano ostelli,  pensò che avrebbe potuto chiedere al vecchio padre di ospitarlo presso di loro. Lo invitò quindi a seguirla nella sua umile casetta.
Il padre, naturalmente, non si oppose, anche perché non avrebbe mai osato rifiutare qualcosa alla sua buona e adorata figlia.
E così Reginella fece accomodare quel signore e si prodigò per preparare una buona cenetta per tutti e tre.
Erano così rari gli ospiti a casa loro.
Si accomodarono quindi attorno al tavolo e Reginella servì delle gustose vivande fumanti. L’ospite disse che era un ballerino alla corte del re;  il suo nome era Omar ed era molto felice del suo lavoro perché quando danzava si sentiva sereno e leggero e si scordava di tutte le cose tristi della vita.
Reginella lo ascoltava con interesse ponendo parecchie domande mentre le sue guance si facevano sempre più rosse.
Il padre guardava i due giovani in silenzio e all’improvviso sentì che i suoi occhi erano molto pesanti e non riusciva più a tenerli bene aperti. Si alzò dal tavolo e si sdraiò sulla poltrona ben ricoperta dai cuscini che la figlia aveva confezionato e ricamato per lui.
Fra un racconto e l’altro, il tempo fuggiva veloce e la notte stava avanzando a grandi passi.
Reginella disse che sarebbe andata di sopra a preparare la stanza per il giovane viandante e così lo lasciò solo con il padre.
Omar si avvicinò alla poltrona e si accorse che il vecchio si era addormentato. Lo lasciò ai suoi sogni ed attese il ritorno di Reginella la quale non si fece aspettare molto.
Si avvicinò alla poltrona del padre e lo invitò dolcemente ad andare a letto. Il padre non rispondeva.
Gli pose una mano sul volto per accarezzarlo e sentì sotto i palmi un gelo che la riempì di terrore.
Iniziò a gridare invocando il nome del padre, ma tutto era inutile.
      - E’ morto – disse Omar.
Il giorno successivo lo seppellirono accanto alla moglie.
Omar chiese a Reginella di partire con lui ed ella acconsentì.
Fu portata alla corte del re e le fu insegnata l’arte della danza. Ma Omar era scomparso. E questo era il suo grande cruccio.
Le piaceva danzare, ma sentiva molto la mancanza del padre e di Omar e, seppure vivesse in mezzo alla ricchezza ed agli agi, non era felice.
Una sera, dopo l’ennesimo successo per una danza in onore degli invitati del re, Reginella, nella solitudine della sua stanza, pensò alla sua mamma.
La chiamò così intensamente che le sembrò che ella fosse lì, accanto a lei ad ascoltarla.
In quel momento una forte folata di vento gonfiò  i pesanti tendaggi che adornavano la stanza  ed Omar in persona le apparve nel vano della finestra.
- Vieni, corri, non c'è tempo da perdere - la invitò concitato Omar.
Reginella era sconvolta dall’emozione e si lasciò sollevare dalle forti braccia del giovane che la condusse con sé.
Un cavallo nero li stava aspettando nella strada e,  appena furono ambedue in sella,  fuggì via al galoppo.
Correvano veloci, attraverso le stradine e poi, fuori, nei prati e poi su, su verso i boschi e la montagna.
     - Ti spiegherò dopo - le disse Omar.
     Quando gli parve di essere abbastanza lontano dal castello del re, fermò il cavallo e, dopo essere smontati dallo stesso, si sedettero su di un masso lì vicino.
     - Ti ho mentito – le confessò Omar. - Io avevo ricevuto l’incarico dal re di procurargli delle belle ragazze per insegnare loro la danza e rallegrare quindi le feste frequenti che organizzava al castello. Se non avessi obbedito mi avrebbe fatto tagliare la testa. Ma tu, eri talmente innocente e gentile che, dopo averti condotta da lui, sentii  muoversi dentro di me i rimorsi come serpenti.  Finché presi la decisione di rischiare la mia vita e di portarti via  -.
     -  Ti ringrazio, mio Omar, rispose Reginella. Io, infatti, non ero felice là,  in quel castello e il pensiero di te non mi lasciava mai. –
Mentre stavano parlando la prima neve cominciò a cadere e si preoccuparono subito di cercare un riparo. All’improvviso, però, udirono l’abbaiare furioso di cani ed Omar disse che erano stati sguinzagliati al loro inseguimento dai soldati del re,  per uccidere lui e riportare lei alla sua vita infelice.
La neve cadeva sempre più copiosa e Omar coprì Reginella di un mantello bianco che aveva portato con sé. Si alzarono in piedi e lui la strinse forte, sempre più forte, accanto al suo petto baciandola appassionatamente.
Poi, lentamente,  cominciarono a girare su se stessi, prima piano, poi più forte, poi sempre più forte, abbracciati come fossero un corpo solo mentre la neve li nascondeva in un gelido turbinio che faceva fremere tutto ciò che li circondava.
Giravano incessantemente, e da quel vortice bianco si formarono delle raffiche di ghiaccio che accecarono tutti i cani che si stavano avvicinando e così  i soldati rinunciarono all’inseguimento per paura di essere colpiti a morte.
Finché la calma ritornò.  Un bianco silenzio copriva ogni cosa.
Omar e Reginella erano talmente avvinghiati che nessuno mai più li avrebbe potuti dividere.
Col passare del tempo, da quelle parti fu visto un albero strano ed originale,  col tronco bianco chiazzato di scuro,  che si ergeva in spirali verso il cielo assieme ai rami ad esso attorcigliati come in un abbraccio forte e struggente. Nessun altro albero gli somiglia.
Fu così che, piano piano, nacque fra gli abitanti di quel luogo la leggenda dell’Albero di Reginella.
E ancora oggi, nel paese,  quando inizia a spirare il vento forte dell’inverno,  si va dicendo che Omar e Reginella stanno ricominciando a danzare, lassù nella foresta alle pendici della possente montagna.

 - Giovanna Giordani -


sabato 1 febbraio 2020

IL BOTTONE NERO






C’era una volta un bottone nero che capitò per caso in una scatola di latta ripiena di una gran quantità di bottoni colorati che si rimiravano l’un l’altro.
Al bottone nero nessuno rivolgeva la parola ed egli un giorno radunò tutto il suo coraggio e chiese ai suoi compagni: - che cosa vi ho fatto di male per meritare questa vostra indifferenza? –
Quelli si guardarono di sottecchi (veramente si dovrebbe dire da sotto i buchetti che avevano in mezzo alle loro forme geometriche varie, tonda, quadrata, romboidale ecc.) finché uno, un po’ più grosso degli altri e coperto di pietruzze luccicanti, rispose:
-          Veramente tu non ci hai fatto niente di male, ma sei così nero e insignificante che non si capisce come mai ti abbiano messo in nostra compagnia. Guarda, per esempio, quel bottone tutto dorato, com’è solare, lui aspetta di essere esposto quanto prima in bella mostra su di una importante giacca blu. –
Il bottone nero girò gli occhietti verso il bottone dorato e quasi rimase abbagliato dallo splendore che sprigionava, così andò  a rannicchiarsi mogio mogio in fondo all’angolo della scatola senza più replicare.
Qualche giorno dopo, mentre tutti i bottoni stavano facendo il sonnellino pomeridiano, la scatola venne improvvisamente scoperchiata e una mano femminile s’intrufolò con decisione fra di loro estraendone a manciate e disponendoli su un tavolo ricoperto da un drappo di stoffa bianca.
- Questo no, questo neanche, questo è troppo grande, questo è troppo piccolo, questo luccica troppo, questo è troppo azzurro, questo è troppo rosso, questo è troppo giallo – e così quella voce femminile mano a mano che scartava i bottoni che non erano di suo gusto li faceva ricadere con un lieve tonfo nella scatola dalla quale li aveva tolti.
Sembrava proprio che quella persona  non trovasse ciò che desiderava.
Il bottone nero stava rannicchiato nel suo angolino fermo fermo ed osservava tutto questo trambusto con un po’ di timore.
Ad un certo punto nell’aria risuonò un’esclamazione di giubilo e in quel mentre il nostro bottone si sentì sollevare repentinamente dal suo luogo appartato e  venne adagiato delicatamente su quella tela bianca  dove i suoi compagni erano stati esaminati.
 - Eccolo – disse la stessa voce di prima – è quello che mi mancava, per fortuna l’ho ritrovato, ora il vestito potrà essere finalmente confezionato come si deve -.
Il bottone nero capì che non sarebbe più tornato assieme agli altri compagni nella scatola e si guardò intorno. Oh, meraviglia! Sul tavolo c’erano altri sette bottoni uguali a lui che lo guardavano sorridenti.
- Ma dove ti eri cacciato? – chiese uno dei sette.
- Beh, non lo so, non ricordo niente, forse ero caduto e ho battuto la testa e qualcuno mi ha visto e messo nella scatola assieme a tutti quei fratelli colorati - .
- Va bene, va bene - disse l’altro bottone – l’importante è che ora Rosa ti abbia trovato perché credo stia preparando qualcosa di speciale per noi.
Rosa, come avrete sicuramente già capito, era quell’essere umano che aveva scombussolato quella pacifica giornata all’interno della scatola di latta.
Ora,  però, credo sia giunto il momento di dare un nome al nostro bottone nero e così lo chiameremo Cico.
I giorni passavano e Cico, con i suoi sette compagni neri, fu messo  in una nuova scatolina di cartone molto più piccola della scatola di latta.
Assieme trascorrevano il tempo raccontando ognuno qualche passata avventura, più o meno divertente, e si sentivano in sintonia.
Ogni tanto la scatolina di cartone veniva spostata di qua o di là provocando così il solletico ai bottoni neri con conseguenti rumorose risate degli stessi.
Un giorno capitò un fatto che era destinato a rimanere per sempre nei ricordi dei bottoni colorati e di quelli neri.
Sentirono all’esterno del loro involucro un tramestio che non prometteva niente di buono.  Ad un certo punto qualcuno prese la scatolina di cartone e, tolto il coperchio, rovesciò violentemente il contenuto sul tavolo.
- Bottoni! – sghignazzò una voce con tono sprezzante mentre con una manata li stava scaraventando a terra.
 Stessa sorte subirono anche i bottoni colorati della scatola di latta che, involontariamente, si vennero a trovare a tu per tu con i bottoni neri.
- Che disastro, ma cosa sta succedendo? – si chiedevano tutti i bottoni assai spaventati e tremanti, sparsi sul pavimento.
C’è anche da dire che la stanza era tutta buia e quasi non si distinguevano più i bottoni colorati da quelli neri. Tutti i bottoni però si accorsero che fra di loro stava nascendo un caldo sentimento di solidarietà ed amicizia che li univa in quel momento di comune pericolo.
All’improvviso si levò nell’aria un urlo acuto e altissimo mentre sulla porta apparve una sagoma tutta bianca. I bottoni capirono subito che si trattava di un fantasma e zittirono immediatamente.
Anche quella voce sprezzante e iraconda ammutolì di paura e, dal rumore di passi veloci, capirono che il suo proprietario se l’era data a gambe.
Con la quiete ritrovata, tornò anche la luce e il fantasma non fece altro che togliersi la sua veste bianca e posarla su una sedia. Ma a quel punto la sorpresa dei bottoni fu grande: chi indossava la veste da fantasma? Era proprio lei, Rosa, la coraggiosa, che era riuscita a far scappare il ladro! Rosa raccolse subito i bottoni e li rimise nelle loro rispettive scatoline facendo ben attenzione ad assicurarsi che quelli neri ci fossero tutti.
E, se voi aveste visto quella sfilata di carnevale, avreste potuto sentire gli applausi e constatare l’orgoglio dei bottoni neri mentre spiccavano sul bel vestito bianco di Pierrot che, finalmente, Rosa era riuscita a confezionare.
E il nostro Cico era proprio quello in alto, il primo, vicino al cuore.

Giovanna Giordani

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