Impressioni di lettura di “SMEMORIA” di Danila Oppio
Quello che mi ha colpito da subito iniziando questo romanzo è l’originalità della disposizione della narrazione, quell’atmosfera di suspense in cui, lo ammetto, di primo acchito non riuscivo a raccapezzarmi.
Si snoda come un racconto giallo, pensai. Poi mano a mano che mi addentravo nella lettura le nebbie si diradavano come un sipario che si apre lentamente lasciando scorgere la scena tanto attesa.
Rimanevo affascinata dal linguaggio molto scorrevole e le poesie che ornavano il tutto, proprio come le rose del giardino di Sibilla.
Insomma, da semplice lettrice non letterata, mi sento di dire che questo romanzo, che io definirei prosimetro (poesia e prosa e..c’è anche della musica), si apre verso l’alto come una piramide rovesciata.
E quando le parole riescono a emozionare mano a mano che le vedi scorrere sulla carta, come è successo a me durante questa lettura, beh, io credo che allora, l’obiettivo di qualsiasi scritto è raggiunto.
Dunque, scrittura fatta col cuore, questa di Danila Oppio, che scorre limpida come una cascatella, per portare speranza, ottimismo, in questa nostra avventura terrena; scrittura dove la parola “amore” tiene unita tutta la vicenda come un filo rosso che appare e scompare nel disegno della trama, parola che non dovrà mai essere considerata inflazionata perché, lo sappiamo tutti, è la sola che può dare un senso al mistero della vita.
E, siccome ho evidenziato parecchie frasi e poesie che più mi avevano colpito, mi preme incollarne qui almeno una, che trovo incontestabile:
…”In sintesi, la caduta del gusto per la poesia, in questo nostro secolo, è principalmente dovuta al precipitare dei sentimenti più nobili, laddove la bella scrittura e il bel dire, è stato sostituito da vituperi, parolacce, volgarità e una mala scrittura, aggiunti a un pessimo linguaggio. “
Allora speriamo che Sibilla/Danila, ora che sta riacquistando la memoria, continui pure a scrivere senza stancarsi mai!
- Giovanna Giordani -
http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/91141/smemoria/
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Breve recensione di
“ALLA LUNA CH'E' MIA”
di Marcello De Santis
“Alla luna ch’è mia” di Marcello De Santis è una silloge poetica che si gusta come una fresca
sorsata d’acqua ristoratrice. La prima cosa che colpisce è la sua squisita
musicalità. Inizi a leggere e non ti puoi più fermare. Sono componimenti
piuttosto brevi e senza titolo, ma uniti l’un l’altro da un sentimento poetico
che, si può proprio dire, ti trasporta sulle ali di una musica di parole
irresistibile.
La luna, la notte, le stelle, qual è il poeta che può sottrarsi a tale magico
incanto?
…“Come due vele, noi
sopra un carro
di nuvole
e di rose
voliamo sulla
luna”.
Ma c’è dell’altro in queste gradevolissime poesie. C’è la profondità dei
sentimenti e la percezione della realtà che il poeta ci descrive conducendoci
sapientemente nel suo mondo dove la natura e l’uomo si compenetrano a vicenda
sublimando istanti e sensazioni.
.. “Lieve mi sciolgo
nella notte dei
grilli
quando canta
maggio”…
Oppure
“Ecco ritorna
forte
il maestrale
e strappa dalla
scena
il velario di
fondo
sipario alla
rovescia
di inutili
commedie..”
Da ogni poesia traspare più o meno chiaramente una sottile malinconia
consapevole del mistero che avvolge l’umano destino. I versi sono, oltre che
musicali come già detto, densi, intensi, palpitanti.
“Alla luna ch’è mia” è la poesia che titola la raccolta e si può dire che ne è proprio la degna
regina nella sua ricca maestria compositiva. Ne trascrivo i versi
conclusivi, quelli che più mi hanno colpito:
…“Io prego
dal rosone
centrale
già macchiata
di sangue
una lama di
luna mi trafigge
e scoppia la
navata
della chiesa”.
Versi liberi, ma armonici e curati, nei quali cuore e mente convivono in
giusto equilibrio.
Nella parte finale l’autore si diletta a trasformare in poesie tre note
fiabe per bambini (dedicate) ed è veramente una lettura gradevolissima anche
per noi adulti.
Insomma una silloge che posso solo consigliare di tenere a portata di mano,
magari sul comodino, per lasciarla scivolare dolcemente nell’anima come una
musica incantatrice. E, per darne un saggio, concludo con questa:
”Imbianca d’argento la luna
il mare di
perla di perla
e sfoggia
collane di stelle
il cielo sul
mare di perla
e cullano vele assopite
le onde leggere
leggere
e cullano vele
assopite
E’ notte gabbiani assonnati
attendono
l’alba in amore
solfeggia nel
calmo silenzio
la stella
marina marina
l’amara lampara sonnecchia
sciaborda
tagliando le alghe
sonnecchia e
sciaborda sciaborda
e cullano vele assopite
le onde leggere
leggere
e cullano vele
assopite”
Grazie Marcello per averci donato queste splendide note.
Giovanna Giordani
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Brevi riflessioni su “L’ODORE DEL
PANE”
di Sandro Orlandi
Devo dire che quello che mi ha
colpito fin dall’inizio del romanzo “L’odore del pane” di Sandro Orlandi è l’abilità
con cui questo scrittore racconta due storie parallele che gradatamente si intersecano
fino a fondersi in un unico finale coinvolgendo il lettore in modo decisamente
avvincente.
Storia, fantasia, psicologia, magia
sono tutti elementi che l’autore sa far convivere con grande maestria ed
equilibrio.
Addentrarsi nella lettura di questo
libro è proprio come quando ci si avventura per un sentiero di montagna in
mezzo ai boschi dove, assieme al respiro dell’aria salubre, ci sentiamo
avvolgere da una vaga sensazione di straniamento.
Ed infatti la suspense non si
lascia attendere. Capiamo subito, dalla delineazione dei personaggi, dai loro
discorsi e dalle loro sensazioni, di essere in presenza di una situazione arcana,
nella quale gli accadimenti si intersecano gradatamente come i pezzi di un
puzzle, o come un rebus che attende una soluzione, per far emergere una verità.
C’è una richiesta di aiuto che
attraversa i secoli e solo da chi possiede il “dono” può essere udita.
Il “dono” in questo caso sembra
avere due significati: il primo è quello di percepire voci che i comuni mortali
non possono udire, il secondo è qualcosa di più tangibile e cioè un ciondolo
che ha attraversato due secoli di vita passando di mano in mano fino ai giorni
nostri...
Due paesi diroccati e i resti di
un convento abbandonato sono l’iniziale teatro in cui la fantasia dell’autore
vola alla ricerca di una trama tesa a rappresentare la vita che in essi si
svolgeva nei due secoli precedenti, supportata da una accurata documentazione
storica. Tutto questo animato da personaggi decisamente affascinanti ognuno per
le proprie peculiarità.
A questo punto credo sia giusto
lasciare al lettore il gusto di seguire passo dopo passo questa intrigante narrazione
nella quale mi pare di aver percepito, accanto ai contorni del noir, un misto
di affetto e pietà che l’autore prova
per le sue “creature” e quindi, di riflesso, per tutta l’umanità con le sue
fragilità che molto spesso ne condizionano il destino.
Per questo io non posso che
consigliare la lettura di questo originale romanzo in cui la ricerca della verità
e della giustizia sono il filo rosso (e qui mi sovviene l’immagine di copertina
ad opera di Maristella Angeli) che lo attraversa senza mai spezzarsi.
Giovanna Giordani
Riflessioni sulla silloge “NEL SILENZIO DEI RUMORI” di Gavino Puggioni
La poesia emblematica della silloge di Gavino Puggioni “Nel silenzio dei
rumori” è titolata, appunto, “Il silenzio”. E’ una poesia breve, ma molto incisiva
che, in chi non è duro di cuore, non può non suscitare un sentimento di
condivisione e di apprezzamento per l’urlo immane e l’esortazione che contiene
nei suoi versi.
Ne trascrivo qualcuno che vorrei potesse viaggiare per l’etere per essere udito
da tutti coloro che hanno a cuore il bene dell’umanità: “Nel silenzio/ dei rumori/un viso di
bambino/abbandonato/mai amato/..ci saluta…/la voce fioca/e la bava bianca/di
fame e di sete/..ci parlano…/ma noi siamo sordi!”
In questa poesia, quindi, io ravviso la poetica generale dell’autore che è
sensibilità verso la parte debole dell’umanità, è solidarietà che utilizza il
linguaggio della poesia per esortare a non seguire la via dell’indifferenza, ma
a cercare di rivolgere l’attenzione a quella parte di infanzia del mondo che
viene vilipesa e tradita. (Non a caso l’autore destina i proventi delle vendite
di questo libro all’UNICEF).
Sublime messaggio quello del poeta Gavino che non posso non condividere ed
apprezzare.
Così anche nelle altre poesie traspare la sua ribellione a ciò che distrugge
anziché creare, a ciò che divide anziché unire, a tutto ciò, dunque, che va a
danno dell’uomo stesso. Nelle sue poesie si legge proprio questa tristezza che
urla tutto il suo malessere per la stupidità e l’inettitudine di chi fa
dell’egoismo la propria religione, di chi ha paura, io credo, di essere troppo
“buono” . Perché, troppo spesso, la bontà viene identificata come debolezza,
fragilità. Invece io credo che la bontà sia una grande forza grazie alla quale
l’umanità può sopravvivere ai suoi aspetti peggiori.
Dico sinceramente che fa sempre bene al cuore leggere poesie come quelle di
Gavino Puggioni e, per fortuna, non è il solo che vuol fare sentire la propria
voce al fine di smuovere le coscienze per ottenere un mondo migliore in cui i
piccoli, i bambini, possano crescere nel benessere, possano essere amati come
meritano, non siano abbandonati e possano quindi mantenere viva la speranza e
la gioia di vivere. Il diritto di vivere è universale, rendere la vita vivibile
è prerogativa umana e di nessun altro. La vita è in mano nostra, Qualcuno ce
l’ha donata e tocca solo a noi apprezzarla, condividerla, rispettarla e
renderla degna di essere vissuta. Bando alle guerre, quindi, agli orrori, alle
brutture. Gavino ce lo “grida” in ogni sua poesia ed è un grido che non
dovrebbe cadere nel vuoto, ma, come dicevo all’inizio, essere raccolto da tutti
gli uomini di buona volontà.
Questa dunque è la tematica prevalente della silloge. La forma è quella del
verso libero moderno, senza particolari metafore, che giunge immediata alla
mente e al cuore. Hanno trovato spazio nel libro anche delle brevi prose che ci
permettono di apprezzare Puggioni pure in veste di narratore.
Degne di nota sono inoltre le bellissime illustrazioni, dell’artista Antonio
Lino Pinna, che accompagnano la raccolta poetica del nostro autore donando così
maggior risalto alla stessa.
Grazie Gavino, continua ad urlare il tuo importante messaggio e che il vento lo
porti con sè e lo lasci cadere come un piccolo seme in terreno fertile. Perché,
si sa, che dai piccoli semi possono nascere grandi e salubri piante!
Giovanna Giordani
Magnum-Edizioni
Copertina e disegni di Antonio Lino Pinna
Anno 2007, Pag. 200
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BREVE RECENSIONE ALLA SILLOGE DI TINTI BALDINI
“SEGNI”
“Segni” di Tinti
Baldini è un libro di poesie che ho letto centellinandolo come faccio
generalmente con i libri di poesie.
Un libro di poesie è per me come una riserva d’ossigeno alla quale attingo
quando ho bisogno di dar maggior respiro all’anima. Generalmente non inizio mai
dalla poesia della prima pagina, ma ne scelgo sempre una a caso. E così sono
subito stata catturata da “I versi” che mi hanno conquistata in un baleno “odorano di figlio/dentro il
corpo/… di terra che suona/sotto i passi, di voli e cadute./….e piovono
sul capo/ come petali”. Come
non sentirsi in sintonia?!
Continuo a sfogliare e
intravedo componimenti brevi sui quali mi soffermo incuriosita poiché so quanto
si può dire in poche parole. Ed è in “Casa” che m’imbatto per prima e che posso
trascrivere totalmente“Di
senso amato/di furori e silenzi/di sbarre di burro”. Scorro queste brevi poesie ad una ad una
ed è come osservare un quadro impressionista, tante folgorazioni emotive
impresse subito sul foglio perché rimangano nella loro spontaneità e genuinità
e non si dissolvano senza lasciare segno.
La libertà del verso,
l’intensità e l’intrinseca tensione alla ricerca del senso dell’esistere sono
alla base della poesia di Tinti. Dunque, poesia pregna, incisiva, senza
sbavature, essenziale che guarda all’interno del sé per poi espandersi oltre i
confini dell’io verso la vita dell’intera umanità con i suoi muti perché, il
suo dolore, le ingiustizie e gli orrori come in “Auschwitz” ….”E trecce bionde a migliaia/in
mucchio/e sguardi di spettro/in angoli remoti… /poi... dinnanzi
all’entrata/prendi il panino/nella borsa/schiacciato/pestato e senza forma/e lo
butti dentro il bidone.”
L’autrice lascia
scorrere il suo sguardo, a volte stupito, a volte estasiato, sempre partecipe,
gioioso o addolorato perché l’indifferenza non fa parte del suo essere e la
definisce così: “Indifferenza” Veder
passare/ombre/e non scoprirle. Avendo
inoltre insegnato per tanti anni, leggendo questa poesia, si capisce tutto
l’affetto e la comprensione che prova per i suoi “Alunni”: “Se ti va di sentire/se passa
piacere/se ascolti il vento/se vuoi capire/è perché hai avuto amore”. Mentre in “Donna bambina” Tinti esprime tutta la
sua amarezza per l’infanzia e l’adolescenza abbandonate a se stesse ”…Allora/ho cominciato a
svuotare/il mio corpo/e poi/per sentirmi bella/a darlo in prestito.”
Anche la natura non si
sottrae dal suo ruolo di musa ispiratrice e si lascia cantare anche dalla
nostra poetessa con questa bella “Luna” /Muta assapora/di nuvole il passaggio/e di
stelle/la lontananza/in silenzioso tocco/d’infinito. Più che mai nel poetare di Tinti traspare l’essenza
della sua anima, la sua sincerità nell’esprimersi, senza reticenze, senza veli
e per questo la sentiamo, oltre che poeta, amica discreta, partecipe, attenta,
sensibile, leale.
Mi congedo da queste mie
impressioni su questa silloge con questa ultima perla lasciando a voi la
meraviglia di scoprire l’intera collana:
LASCIA
Lasciami/vivere/soffi leggeri/di
felicità/senza sguardo/giudice o mesto:/
carezza
la mia gioia/e/diventerà qualcosa/di grandioso.
Grazie Tinti
Giovanna Giordani