Erano gli ultimi giorni
stabiliti per la caccia e Anselmo non volle mancare all’appuntamento con il
bosco e le sue prede.
S’incamminò di buon
mattino, come d’uso per questo “sport” ,
e iniziò a salire per il sentiero a lui noto, accompagnato dal suono del
ruscello chiacchierino e dai cinguettii degli uccellini mattinieri.
La giornata prometteva
bene. Il cielo era sereno tranne qualche striatura qua e là. Il nostro Anselmo
dunque, caricati in spalla fucile e zaino, iniziò ad inoltrarsi nella riserva di
caccia con la solita speranza di un buon bottino.
Il giorno precedente
c’era stato un gran temporale che aveva lasciato le sue orme sui viottoli e la
vegetazione era ancora gocciolante.
Anselmo procedeva
spedito ma ecco che ad un certo punto si sentì scivolare e, non trovando
appigli, si ritrovò per terra con un
forte dolore alla caviglia. Provò ad alzarsi, ma, fatti quattro passi, il
dolore era insopportabile e dovette correre ai ripari sedendosi su un muretto
che costeggiava il sentiero. Si rimproverò di non aver portato con sé il
cellulare e sperò che qualcuno passasse di lì per dargli aiuto. Nel frattempo,
poi, con suo grande sconcerto si accorse che il sole aveva ceduto il passo ad
un fitto banco di nebbia che si dirigeva proprio verso di lui. Un leggero
panico lo prese. Bisognava star fermi ed aspettare, pensò, non c’era altro da
fare.
La nebbia avanzava
inesorabile racchiudendo entro le sue vaporose braccia tutto ciò che si
presentava al suo passaggio. Il bosco ammutolì in un’attesa dall’incerta
durata. L’infortunato pensò bene di
frugare nello zaino in cerca del panino che sarebbe stato il suo pranzo e
cominciò ad addentarlo per attutire l’ansia che sentiva impadronirsi di lui.
La nebbia era
fittissima, non si poteva scorgere
alcunché a mezzo metro di distanza. Il cacciatore chiuse gli occhi e si accorse
che qualche pezzo del suo frugale pranzo gli era sfuggito dalle mani (un po’
tremanti) per finire sul sentiero. Si ricompose e provò ad alzarsi, ma appena
mise il piede per terra ricominciarono i dolori lancinanti. Non si poteva far
altro che attendere il passaggio di qualche viandante o, in caso contrario,
tornare indietro sopportando il dolore.
Provò a scrutare quel
muro bianco che gli stava di fronte sperando di sentire qualche passo e vedere
affacciarsi qualche volto umano, ma tutto era silenzio. Il bosco attorno a lui era uno scrigno di
ovatta.
Si disse che avrebbe
aspettato ancora pochi minuti e poi si sarebbe deciso a ritornare sui suoi
passi fendendo la nebbia e sopportando quell’antipatico dolore.
Mentre provava ad
alzarsi lentamente dal muretto gli parve di sentire un fruscio poco distante da
sé e, giratosi, si accorse che la nebbia lasciava lentamente intravedere due
punte che sembravano rami di un albero –
Forse si sta diradando – pensò – meno
male così il ritorno sarà meno problematico.-
In effetti quel fitto
banco di nebbia, dopo quella breve sosta, incominciò a spostarsi lentamente
disvelando ogni cosa al suo passaggio.
Il bosco stava
riprendendo il suo “raccontare” e una visione si stava gradatamente
materializzando davanti al cacciatore che rimase seduto e immobile dal grande
stupore.
Un magnifico cervo con
delle maestose corna lo stava fissando dritto negli occhi. Anselmo guardò il
suo fucile, ma il cervo non si mosse e continuò a fissarlo. Il cacciatore si
sentì ipnotizzato. La preda era lì, accanto a lui, ma lui non riusciva ad
imbracciare il fucile. Era indolenzito dal dolore alla gamba e temeva di
aggravare la sua situazione con qualche brusco movimento. I suoi occhi erano
ormai incantati in quelli del magnifico animale e per un tempo indefinito i due
sembravano scambiarsi enigmatici discorsi.
Infine il cervo notò il
pezzo di pane per terra e, avvicinatosi lentamente, se lo trangugiò con
evidente piacere. Dopo un ultimo sguardo al malcapitato, si girò e si addentrò solennemente
nella boscaglia.
-
Non avrei mai potuto – si ripeteva
Anselmo - non avrei mai potuto uccidere tanta bellezza e l’innocenza dei suoi
occhi me lo impediva senza riserve -.
Non aveva mai visto
negli occhi le sue prede, Anselmo, e si accorse che qualcosa stava cambiando
nel suo animo.
In quel mentre udì il
rumore di passi cadenzati e, con sua grande gioia, vide un suo amico
cacciatore che gli si stava avvicinando. Gli spiegò la sua disavventura e questi si premurò di
accompagnarlo alla sua abitazione dove avrebbero provveduto alle cure
necessarie.
- - Per fortuna sei arrivato al momento
giusto – gli disse – mi sa che non è giornata di caccia oggi, non si vedeva in
giro nemmeno un topo -.
I due amici trascorsero
così la giornata in compagnia, l’uno contento di essere stato soccorso, l’altro
di aver fatto un favore al suo compagno.
E da quel giorno, Anselmo, smise di andare a caccia. Solo lui sapeva il perché.
Il bosco era diventato per lui un luogo rasserenante per fare salubri passeggiate e raccogliere funghi.
Giovanna Giordani
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